Sto leggendo un libro, nel quale i nostri eroi devono ritrovare la tomba di Aelesandro Magno... quello che fece ministro il suo cavallo BUCEFALO.
E non ridete! Perchè se andiamo avanti così, non va escluso che presto potrebbe accadere anche da noi.
Beh sono a pag 120 di 470 circa e nella trama è apparso questo misterioso
FUOCO GRECO
Allora curiosa come una scimmia, sono andata a documentarmi su Wikipedia. Sinceramente credevo che fosse una cavolata, invece è esistito davvero... anche se la formula non è mai stata recuperata.
Fuoco greco era l'espressione usata per indicare una miscela esplosiva usata dai bizantini per incendiare il naviglio avversario o tutto quello che poteva essere aggredito dal fuoco.
Il termine Fuoco greco era utilizzato soprattutto dai popoli stranieri, poiché i Bizantini, che si vedevano come i diretti discendenti dei romani, lo chiamavano fuoco romano, fuoco artificiale o fuoco liquido.
IN PRATICA
La formula della miscela che componeva il "fuoco greco" non ci è ancora pervenuta; essa era nota soltanto all'imperatore e a pochi artigiani specializzati ed era custodita tanto gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque avesse divulgato ai nemici questo segreto. Si ipotizza nondimeno che il "fuoco greco" - la cui invenzione si attribuisce a un Greco originario della città di Eliopolis (oggi Baalbek in Libano ), di nome Callinico - fosse una miscela di pece, salnitro, zolfo, nafta e calce viva, contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta (sìfones) collegato ad un tubo di rame, montato sui dromoni bizantini, che veniva spruzzata con una semplice pressione del piede sulle imbarcazioni nemiche oppure lanciata dentro vasi di terracotta, tramite le petriere, sul naviglio nemico similmente a mortai di artiglieria.
La caratteristica che rendeva temuti questi primitivi lanciafiamme era che il "fuoco greco", a causa della reazione della calce viva, non poteva essere spento con l'acqua, che anzi ne ravvivava la forza, e di conseguenza le navi, realizzate in quel periodo in legno, coi comenti[1] dello scafo impermeabilizzati tramite calafataggio e con velatura, sartie e drizze di fibre vegetali, anch'esse intrise di pece, erano destinate a sicura distruzione.
Fu grazie al "fuoco greco" che il secondo assedio degli Arabi musulmani (condotto fra il 717 e il 718) fallì, ma anche in altre occasioni l'arma fornì servigi essenziali a Costantinopoli e ad altre città dell'Impero bizantino per sfuggire ai loro assedianti.
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